sabato 2 dicembre 2017

SKATE_PA


Sono passati solo pochi mesi e lo skate park di fronte il tribunale di Palermo è già chiuso o meglio circondato da un debolissimo filo di plastica che non dice nulla rispetto alla pericolosità delle strutture danneggiate e comunque utilizzate da bambini e ragazzi.
Le prime settimane dopo l’allestimento sono state volteggianti non c’è che dire, con il passare del tempo però i ragazzi che ne hanno promosso la realizzazione si sono dileguati, incapaci di gestire i rapporti con i bambini e gli adolescenti del quartiere, abituati a ben altro modo di vivere gli spazi della città, o forse delusi da un’amministrazione che ha usato, in piena campagna elettorale, l’installazione dello skate park, come risposta ai bisogni di una parte della popolazione giovane che chiede spazi dove giocare, dove esprimere il proprio rapporto con la città. Ma tanti altri prima dell’allestimento di questa struttura usavano già la piazza svolgendo attività sportive differenti e senza chiedere attrezzature di nessun tipo. Penso al gruppo che si allenava ogni sera a pallavolo montando una rete tra palo e ringhiera, alle partire di calcio, a quelle di pallacanestro con tubo e canestro saldato, ai bambini in bicicletta o con la palla, alla gente seduta nelle panchine. Vere e proprie appropriazioni ludiche dello spazio ma anche forme di rivendicazione: di ulteriori spazi per il gioco e lo sport, di socialità urbana, suggerimento a chi progetta di pensare a spazi duttili capaci di favorire l’inclusione e la vivibilità.

Per un attimo ti viene da pensare: vuoi vedere che, senza saperlo, l’architetto Franco Bernardini (https://francobernardini.wordpress.com/) progettista di piazza Vittorio Emanuele Orlando qualche domanda sui modi di concepire e vivere la città se l’è fatta? Poi però ti rendi conto che no, manca nel progetto della città e dei suoi spazi pubblici  la capacità di guardare alle pratiche del gioco, di prevederle, di osservare quelle esistenti per capire quanto uno spazio influenzi comportamenti e faccia esplodere socialità.

Ormai è sempre più evidente come gli spazi della città vengano continuamente re-inventati e re-interpretati dai suoi fruitori. Anche in piazza Vittorio Emanuele Orlando l’azione ludica spontanea ci svelava i molteplici modi di interpretare e fruire lo spazio. Differenti azioni per differenti usi senza che nessuno decidesse limiti, stabilisse categorie o regole.
Una convivenza nata dalla spontaneità dell’uso dello spazio urbano, quella che crea mescolanze senza attriti, quella che guarda lo spazio intorno e ne trae risorsa, magari da niente. Allora perché attivare pratiche di conquista dello spazio interpretando i bisogni di pochi e senza che nessuno lo abbia prima osservato, decifrandone le dinamiche, registrandone ora dopo ora i differenti usi?

Una piazza senza nessuna qualità architettonica ne riceveva tanta da chi la usava e ne faceva un posto aperto. L’arrivo dello skate park, così progettato, seguendo dinamiche care ad un’amministrazione di propaganda, è caduto in questo tranello, non ha valutato, per disinteresse o per mancanza di competenze, una componente fondamentale: quella della relazione con il territorio, quella dell’analisi dei bisogni e dell’educativa di strada. Bastava forse attivare sinergie con chi da anni questi processi li vive, li avvia, li gestisce e li porta a termine. Ogni gioco, compreso quello libero e all’aperto, è apprendimento, occasione per sensibilizzare gli altri, pratica educativa, ancora di più in contesti urbani poveri di strutture per il gioco ma ricche di incontri tra chi si auto-organizza: bambini e ragazzi, siano essi migranti o autoctoni, che permettono a posti come le piazze del centro della città di non trasformarsi in luoghi di disuguaglianza e marginalizzazione.
Ora invece, nella piazza di fronte il tribunale, resta una struttura pericolosa, non spiegata, danneggiata, insieme ad un recinto di piante ormai secche anche queste un’offesa al fiorire spontaneo, all’ambiente che accoglie, alle diversità che si incontrano, alle risorse che si attivano per restare vivi e giocosi. Perchè la città che gioca diventa ambiente magico, che va oltre la semplice attività sportiva, diventa luogo di relazioni sociali, di conoscenza, di riconoscimento di gruppi di appartenenza e di abitudini.
La città che gioca e chi ci gioca dentro sono il segno di un impegno quotidiano a dare vita a luoghi che resterebbero vuoti e senza funzione, a suggerire quella visione che manca a molti architetti: la visione della città e della gente.
Forse è il momento giusto per provarci: progettare pensando al playground, attivare una percezione ludica quando si osserva uno spazio urbano, avere già nella mente e nel cuore la comunità che lo animerà.


Insieme allo skate uscendo da casa, scelgo un mezzo e uno strumento, uno spazio e le strutture architettoniche esistenti, e infine scelgo la città, tutta.
E magari prima di uscire scelgo anche un libro. Qualche anno fa ne ho incrociato uno che fossi al posto degli skaters leggerei.

Stupidi Giocattoli di Legno. Lo skate nel cuore della metropoli di Flavio Pintarelli edizioni agenzia X - anno di pubblicazione 2014

“Gli skater cominciarono ad attraversare gli spazi urbani con occhi nuovi, a vederli sotto una luce diversa. Giravano in gruppo, in auto, alla ricerca di spot adatti alla loro nuova disciplina. Impararono a riconoscere quei segni che testimoniavano la presenza di una casa abbandonata o di una piscina vuota, di un canale in secca o di un condotto fognario in disuso; se ne appropriavano in una tensione espressiva e creativa in cui il corpo, la tavola e lo spazio davano vita a una performance coordinata ed entusiasmante: perché contraddiceva in ogni istante le regole con cui quegli spazi erano stati vissuti fino a quel momento.
In parte flaneur, in parte cartografi, gli skater stavano dando vita a un modo innovativo di entrare in rapporto con luoghi che fino a quel momento erano stati abituali. Nuove letture di quegli spazi si dispiegavano sotto ai loro occhi, nuovi modi per esprimere una particolare forma di creatività corporea, un mondo nuovo che nasceva dall’esplodere di una percezione diversa, dovuta all’interazione tra un essere umano, un utensile tecnologico e una forma di organizzazione dello spazio”













martedì 13 settembre 2016

una lettera dopo l'altra

dopo una lunga estate, lo scorso anno ha fatto il suo ingresso nella nostra vita una nuova parola: scuola!
dopo il nido e la materna arriva lei, quella vera, con i compagni che incontri per strada mentre ci vai, con le famiglie che si colorano e si mescolano loro malgrado, perché i bambini e le bambine lo fanno e sprizzano naturalezza e felicità. la scuola comporta un primo giorno, lo sapevo, e dal primo giorno, lo scorso anno, io ho sbagliato qualcosa, dico 'è stata la confusione' ma non è così. arriviamo in palestra, chiamano i bambini della prima I, dicono il nome di gianluca. salgono in classe. io guardo giuseppe e so che non posso lasciarlo lì, ma nemmeno lasciarlo salire solo le scale in questo primo giorno, lui che da quest'anno si separerà da gianluca, lui che è il mio pensiero fisso, lui che adesso mi guarda e dice con gli occhi, ok resto qui salirò da solo, poi se vuoi passa dalla mia classe. Lo lascio nelle mani di jennifer e del suo bambino, l'unico che giuseppe conosce già. ok vado, seguo gianluca che doveva essere quello che 'io ce la faccio da solo, io so come si fa'. invece mi stringe forte la mano, saliamo in classe e io ascolto la maestra e fremo per giuseppe e guardo gianluca seduto in quel posto che sembra così grande per lui, mi avvicino gli dico all'orecchio che vado in classe di giuseppe, mi aspetta. mi lascia andare suo malgrado.ecco percorro il corridoio e so che sarà così sempre, da una parte all'altra, da una vita all'altra, eternamente indecisa se prima uno o l'altro. vivere con la sensazione che stai dimenticando qualcosa, che stai mettendo uno dei due da parte, che il tempo lo devo cronometrare e le attenzioni distribuire equamente nella misura e intensamente nelle direzioni. insomma un lavoraccio che sfianca, che toglie energia, che strappa il cuore, che dà pugni nello stomaco. poi siamo passati attraverso un autunno caldo e un inverno che tardava ad arrivare,abbiamo allenato mani e testa, e il nostro corpo fuori come è sempre stato. i giorni sono stati lunghi, i pomeriggi pieni e spesso difficili. 2 quaderni, 2 libri, mani che disegnano altre che fanno conti, parole che ora vengono lette e non solo ascoltate. le nostre vite intrecciate, le nostre insicurezze, il nostro non saperlo fare, ma anche non riuscire a vedere e dire, le mie difficoltà e la scuola sempre lì ogni giorno a tenere tutto insieme. complici le maestre coraggiose, compagne e sorelle. ogni giorno salutare uno che mi abbraccia prima di salire e l'altro che mi guarda oltre il vetro e va verso le scale, andare al lavoro con gli occhi del secondo, perché sono i miei, pieni delle stesse paure. alla fine dell'anno la pagella la leggiamo con le parole e non con i numeri, tra chi è andato dritto come un treno, ma poi ha capito che poteva chiedere aiuto e chi ha camminato piano, quasi nascosto. dopo una lunga estate ricomincia tutto e siamo ancora un pò diversi, gianluca che mi insegue e giuseppe che rincorro, gianluca che mi sfinisce con le parole e giuseppe con i silenzi.  giuseppe che nell'acqua ritrova forza e che d'estate quasi si trasforma, un bimbo pesce: fluido, apparentemente silenzioso, che ascolta il suono del mare, che galleggia e si lascia trasportare dalla corrente e a volte la risale. gianluca che controlla gesti e scoperte sopra e sotto l'acqua, che galleggia e sa perfettamente perché.
e da domani ricominciano i giorni di un nuovo anno di scuola.
i giorni in cui attraverseremo strade, ci prenderemo la pioggia del mattino, il sole accecante all'uscita.
saranno i giorni delle attese fuori, a intercettare il vostro colore dei capelli sulle teste che scendono le scale,  per riconoscervi e poi leggere sui vostri visi la stanchezza ma anche la felicità, ritrovarvi pieni.
sarà un altro anno per avere fiducia.
saranno tutti i genitori insieme fuori con i quali creare intrecci, inevitabile e impossibile evitare sguardi e richieste. si sta tutti insieme nel cortile, o almeno bisogna provarci, a stare dentro il rigo piccolo, sapendo che puoi arrivare fino al rigo in alto. si può fare: piccole somme, insiemi di storie e di racconti. ricomincio anch'io: piena dell'orizzonte della mia estate, di un mare vivo, umorale, il mare amico di giuseppe.



(e stasera prima di dormire guarderemo il nostro video preferito, pieno di natura e di animali. perché siamo il mondo e stiamo nel mondo)


sabato 31 ottobre 2015

la città intorno ai bambini


Ci sono punti di vista che hanno bisogno di tempo per posizionarsi e guardare quello che conta. Ci sono misure che vanno prese con gli occhi e con il corpo. Ci sono le misure dell'esperienza. Ci sono le immagini e le storie ad accompagnare questi viaggi della fantasia, queste avventure quotidiane. C'è la tenacia di genitori e scuole. E ci sono i bambini e le bambine. La città, quella vera, sa che la loro misura è incommensurabile e che nessun parco, nessuna strada, progettati e pensati per loro, potrà mai contenere gli slanci, le corse, le cadute, la velocità e la lentezza, gli sguardi attenti. Se i bambini diventassero misura dei nostri giorni, nella città reale, sapremmo apprezzare il valore di una passeggiata a piedi per andare a scuola o al parco, l'uso dei mezzi pubblici per gli spostamenti quotidiani, la scelta di mezzi di trasporto alternativi all'automobile, la sosta nei cortili delle scuole e tanto altro. Un valore trascurato e mortificato dalle scelte di chi amministra la città ma sul quale dovremmo insistere come genitori ed educatori. La città si scopre, si cambia sognandola.
Nella mia vita di mamma e con la mia formazione legata all'architettura e agli spazi della città non ho potuto fare a meno di unire esperienze e conoscenze e trasferirle negli spostamenti in città e nell'uso della città. Gli sguardi si sono incrociati e arricchiti nel tempo, i libri hanno aggiunto un valore fondamentale: andare oltre il possibile, scardinare regole, allargare gli spazi dell'esperienza. E allora a queste parole segue una raccolta di immagini di albi illustrati, di fotografie di vita di città con due bambini piccoli, di belle pratiche nelle città, di guide pensate per i bambini e le bambine, di scoperte fatte andado verso gli altri e le altre. Impossibile contenere tutto ma tante cose si sono incontrate finalmente.
 

C'è chi insegna 
guidando gli altri come cavalli
 passo per passo:

forse c'è chi si sente soddisfatto
 così guidato
C'è chi insegna lodando
 quanto trova di buono e divertendo:

c'è pure chi si sente soddisfatto
 essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere 
l'assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
 sviluppo ma cercando
 d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

Danilo Dolci



 

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